Record di dimissioni volontarie: qualche aggiornamento

Dopo quello che in America è stato battezzato The Great Resignation, anche in Italia nel mondo del lavoro il record di dimissioni volontarie è stato raggiunto.
12/10/2022

Dopo la Pandemia, il mondo del lavoro ha assistito alle Grandi Dimissioni, il fenomeno più analizzato e raccontato degli ultimi tempi, alternativamente eletto a simbolo del burn out da Pandemia o a primo indizio di quella rivoluzione del modello lavorativo che sarebbe comunque arrivata grazie alla spinta dei Millennials e i cui tempi di realizzazione sono stati drasticamente ridotti dal Covid.

È quello che in America hanno battezzato The Great Resignation, l’aumento delle dimissioni dal lavoro dipendente, che tra il 2021 e il 2022 è stato registrato anche in Italia, ovviamente in dimensioni molto meno significative. Un cambiamento epocale: in un mercato del lavoro rigido come il nostro, la fuga dal lavoro, soprattutto da un posto fisso e senza un’alternativa certa, non è mai stata un’opzione.

Dallo scorso anno l’improvviso aumento delle dimissioni volontarie ha coinvolto anche in Italia sempre più persone. Con Enrica De Feo, Senior Career Coach di LHH, abbiamo cercato di capire che cosa determina questa scelta e il modo migliore per affrontarla.

 

Dimissioni: il tempo della riflessione

“Non siamo a livelli americani, dove le aziende stanno correndo ai ripari inserendo figure il cui compito è proprio quello di dissuadere le persone dalle dimissioni, ma nell’ultimo anno anche in Italia le dimissioni sono in aumento, e sono sempre di più le persone che scelgono di lasciare l’azienda senza un’alternativa certa”, commenta De Feo, che ha una spiegazione: “La Pandemia ha mostrato alle persone che un modello di lavoro diverso è possibile. La riduzione del tempo degli spostamenti, il lavoro per obiettivi, la maggiore autonomia. Ci sono organizzazioni che hanno mantenuto questo modello, ma molte altre hanno riportato le lancette al febbraio 2020. Per molte persone è stato uno choc, che ha fatto mettere in discussione valori e priorità.

Il lungo tempo dei lockdown ha poi dato spazio alla riflessione: le persone si sono interrogate sul senso del proprio lavoro, sul significato di realizzazione professionale, spesso rendendosi conto di non essere più in linea con i valori della propria azienda”.

Secondo Enrica De Feo c’è stato una sorta di ritorno all’essenziale, con il bilanciamento vita-lavoro e la soddisfazione professionale che hanno soppiantato il tema del ritorno economico nella lista delle priorità.

“Stiamo vedendo molte persone, soprattutto nella fascia 35-50 anni, che durante la Pandemia hanno tirato fuori il sogno dal cassetto e ora hanno deciso di mettersi in gioco per realizzarlo con percorsi di autoimprenditorialità o cambi di settore e ruoli”.

E non perché il mercato non offra opportunità: “C’è stato un blocco parziale nel 2020, ma dal 2021 in poi non sono certo mancate le posizioni aperte, che spesso le aziende hanno difficoltà a coprire” proprio a causa di questa fuga dal lavoro.

 

L’importanza di una scelta consapevole

Il posto fisso non è più il mito irrinunciabile ma decidere di lasciarlo deve essere una scelta fatta con consapevolezza: “Molte aziende in Italia stanno offrendo incentivi all’esodo e può essere normale pensare di massimizzare l’uscita, soprattutto se non si è più a proprio agio nell’organizzazione”.

Ma per fare un passo simile bisogna essere capaci di uscire dalla propria comfort zone, accettando di vivere un periodo più o meno lungo di transizione senza l’ansia per la ricollocazione.

“Se si pensa all’autoimprenditorialità bisogna essere resilienti, autonomi, capaci di gestire il proprio tempo e di accettare la frustrazione dell’insuccesso. Una scelta che non consiglierei a chi ha ancora la necessità del rito dell’andare in ufficio tutti i giorni”, consiglia ancora De Feo. La buona notizia è che sono sempre di più le organizzazioni che hanno sposato il nuovo modello di lavoro ibrido: “Nei colloqui è sempre più frequente che il candidato si informi sul modello e la cultura aziendale. Spesso sono le aziende a dichiararlo, perché hanno capito che in questo momento il lavoro ibrido è un benefit molto richiesto. Se prima si sceglieva in base alla RAL e allo status oggi le persone valutano spesso in maniera prioritaria le possibilità di crescita e di arricchimento, la flessibilità, la soddisfazione professionale”. Una vera rivoluzione.

 

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