Patto per il lavoro: cos'è e come funziona?

Che cosa è il nuovo patto per il lavoro e come si pone il settore legal in merito ai cambiamenti in atto nel mondo del lavoro e del ricollocamento professionale? Lo scopriamo grazie a "Vox!", la rubrica di LHH redatta in collaborazione con i più importanti avvocati giuslavoristi.
12/10/2022

Attivo dal mese di settembre 2023, il nuovo patto per il lavoro e per l’inclusione sociale è un percorso finalizzato all’inserimento, o reinserimento, lavorativo ed è una delle misure previste per gestire le modifiche avvenute nel contesto del lavoro dopo la pandemia da Covid.

È innegabile che, nel periodo di emergenza sanitaria, il mondo del lavoro abbia subito un cambiamento repentino e traumatico del modello organizzativo: ora è giunto il momento di valutare questo cambiamento e individuare le modalità, anche normative, che consentiranno di convivere nella nuova dimensione: il patto sociale lavoro è una di queste.

 

A chi è rivolto?

Ad oggi, il patto sociale per il lavoro si rivolge essenzialmente a chi riceve l’Assegno di Inclusione, ovvero a quelle famiglie in cui sia presente almeno un soggetto diversamente abile, un invalido civile, una persona minorenne o di età superiore ai 60 anni, così come ai beneficiari del Supporto per la formazione e il lavoro.

Per capire come funziona il patto sociale, e come sottoscriverlo, occorre collegarsi al Sistema Informativo per l’Inclusione Sociale e Lavorativa (SIISL), poiché la procedura è interamente digitale.

 

Cosa è il patto di inclusione sociale e lavorativa

Con il Decreto Lavoro convertito recentemente in Legge, tra i progetti utili a incrementare il welfare e favorire l’inserimento lavorativo, si trova il patto sociale per il lavoro, o, più semplicemente, patto per il lavoro.

Si tratta di un percorso di accompagnamento all’inclusione sociale e lavorativa, che sfrutta le risorse già rese disponibili con il Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale.

L’iter per stipulare il patto sociale per il lavoro si compone di due parti: l’attivazione digitale e il percorso di inclusione sociale o lavorativa, studiato in base alle singole esigenze e casistiche.

Una volta terminata la procedura di sottoscrizione al patto personalizzato di inclusione lavorativa o sociale, i servizi sociali e il centro per l’impiego locale provvederanno a valutare la situazione e a proporre un percorso studiato su misura.

Tale percorso viene deciso in base alle necessità sia dell’intera famiglia che dei singoli componenti. La procedura è interamente digitale, tuttavia, una volta attivato il patto lavoro, è necessario che i beneficiari si presentino agli appuntamenti stabiliti dai servizi sociali, pena la sospensione del progetto.

Ovviamente, evitando di sottoscrivere il patto per il lavoro o, come abbiamo detto, non rispettando gli impegni prestabiliti, non è possibile accedere né all’assegno di inclusione né all’indennità di supporto per la formazione e il lavoro.

 

Come è cambiato il mondo del lavoro dopo la pandemia Covid

Insieme all’avvocato Eleonora Cangemi, partner e Head of International Desk di WI LEGAL, abbiamo provato ad analizzare i cambiamenti post pandemia, già avvenuti e ancora in corso, e ad ipotizzare gli strumenti per renderli strutturali ed efficaci.

A distanza da quel tragico marzo 2020 è possibile riconoscere gli effetti duraturi del Covid per il mondo del lavoro?

“Per quanto fosse un processo già avviato, la pandemia ha riscritto all’improvviso la nostra organizzazione del lavoro.

Non solo: ha avviato un dibattito che potrebbe contribuire a superare la dialettica d'impresa, finora declinata, superando le attuali contrapposizioni in un’alleanza fra capitale e lavoratori.

Mi piace a questo proposito citare una frase del CEO di Walmart Doug Mc Millon, che ha detto che è tempo, per le imprese, di indossare una veste sociale. Questo perché la pandemia ha prodotto tre fenomeni fondamentali:

  • ha dimostrato che la produttività è persino aumentata lavorando a casa, senza controlli, incrementando il margine di fiducia che le aziende sono disposte a dare ai propri collaboratori;
  • ha sottolineato come l’esigenza di lavorare in un ambiente sereno (ed ecofriendly) sia prioritaria persino rispetto all’aspetto salariale;
  • ha anche aumentato le disuguaglianze fra chi può accedere allo smart working, con gli indubbi vantaggi a livello di work-life balance, e chi non può farlo.

Tutti cambiamenti che impongono alle parti sociali un ripensamento dell’attuale modello organizzativo.”

 

Da dove può partire questo cambiamento?

“Intanto dal fatto che sia divenuta idea comune e condivisa che non è possibile prescindere da un contesto lavorativo sereno e rispettoso dei singoli per poter ottenere il meglio da tutti, in termini di risultati e di produttività: il cambiamento non potrà essere immediato, ma a mio avviso è ineludibile e va perseguito con serietà, investendo le necessarie risorse, anche per quanto riguarda le procedure di ricerca e selezione del personale, soprattutto per quanto riguarda leaders e dirigenti.

Va affrontato il dibattito sul salario minimo, e credo che il legislatore potrebbe contribuire alla soluzione del problema con un intervento normativo sul welfare differenziato, che tenga conto delle differenze esistenti: a titolo d'esempio, un single senza figli deve avere uno strumento di welfare come la mamma con il bambino alla quale viene dato il contributo per il nido. Si può ragionare, come detto, su un sistema differenziato, che aiuti chi ha più bisogno.

Mi rendo conto che non è semplice, ma si può fare: si possono strutturare policy e parametri, noi avvocati siamo qui per questo. Certo la base di partenza non può che essere un’ulteriore detassazione della spesa per il welfare. Il tema s'intreccia, peraltro, con quello della denatalità, per la cui soluzione necessitano investimenti pubblici.

Tornando alle retribuzioni, vanno ristrutturate implementando sistemi premianti legati alla produttività, anche e soprattutto a livello aziendale, ma bisogna comunque prendere atto che il trend dei minimi stipendi negli ultimi trent'anni, nel nostro paese, non ha avuto la stessa dinamica degli alti paesi europei.”

 

Quali possono essere gli ostacoli principali?

“Sono stata coinvolta nelle trattative per costruire il primo contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti delle società sportive professionistiche nel mondo del calcio, scoprendo che attualmente si applicano ben 8 contratti diversi.

Una simile pluralità di contratti collettivi non tutela né i lavoratori né le società. Bisognerebbe arrivare a identificare per ciascun settore economico un contratto collettivo cui far riferimento per i minimi salariali, magari anche modulati in base al fatturato o alla profittabilità. Si potrebbe poi demandare alla contrattazione di secondo livello l’analisi più profonda sui meccanismi di welfare.”

 

Quali errori bisognerebbe evitare?

“Uno su tutti: ingessare con ulteriori norme la flessibilità dello smart working. Il margine di flessibilità può deciderlo soltanto l’azienda, pur nell'ambito delle tutele per i lavoratori individuate con l'intervento normativo.

Altro errore è considerare il lavoro agile come un benefit: che io lavori a casa o in ufficio, ho diritto allo stesso salario e allo stesso piano incentivante.

Se non si esce da questo equivoco difficilmente si riuscirà a completare la transizione verso il modello organizzativo del futuro. Che richiederà assolutamente un altro elemento: il sempre maggiore coinvolgimento dei lavoratori nei processi produttivi e nella vita dell’impresa. Perché il coinvolgimento crea fiducia, e la fiducia è l’ingrediente in grado di far superare gran parte dei problemi legati al lavoro agile”.

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