South working: cosa c'è da sapere

South Working: cos’è e da quando se ne parla? Durante la pandemia da Covid, tra le varie espressioni che abbiamo imparato, una, forse, è passata un po’ inosservata: South Working. Si tratta infatti di un fenomeno piuttosto marginale, anche se, durante i mesi di lockdown del 2020, il South Working in Italia è arrivato a coinvolgere circa 100mila persone.
13/10/2022

Forse, nei mesi di lockdown, abbiamo sentito parlarne molto, ma che cos’è il South Working? In realtà si tratta di un fenomeno relativamente limitato, ma comunque molto interessante per quelle che potrebbero essere le sue conseguenze. 

Il South Working in Italia si riferisce a quei lavoratori occupati in aziende del Nord o del Centro, che nella prima fase dell’emergenza pandemica hanno scelto l’opportunità dello smart working per rientrare a casa, nelle regioni del Sud.

Se all’inizio, i South Workers avevano preso questa decisione prevalentemente per il timore del contagio, successivamente il fenomeno ha aperto nuove possibilità.

È vero che con la graduale rimozione delle restrizioni anche il numero dei South Workers si è ridotto, ma sono almeno 45mila i lavoratori rimasti al Sud, che hanno adottato questa modalità di lavoro come scelta di vita. Una scelta sostenuta anche dallo sviluppo un nuovo movimento culturale: South Working-Lavorare dal Sud.


Il South Working come opportunità per riqualificare il territorio

Nel momento in cui le restrizioni e il lockdown causati dalla pandemia da Covid hanno aperta la possibilità di lavorare fuori sede, non era difficile prevedere la diffusione del South Working in Italia.

Se, in passato, il trasferimento verso il Nord ha rappresentato per molti lavoratori provenienti dal Sud Italia la possibilità di costruirsi una carriera nel settore prescelto, è altrettanto vero che ha privato le regioni meridionali dei migliori talenti, oltre ad obbligare le persone a trasferirsi in una zona dove il costo della vita è molto più alto, e spesso non conciliabile con i salari di ingresso. 

Il connubio Smart Working / South Working potrebbe quindi rappresentare un incentivo al ritorno a casa per molti lavoratori del Sud, e, al contempo, anche un’opportunità per favorire lo sviluppo dell’economia in alcune Regioni.

Ovviamente, è necessario che si creino alcune condizioni indispensabili:

  • la disponibilità di poter disporre di una connessione internet veloce e affidabile;
  • la creazione di spazi di co-working;
  • la presenza di una rete di trasporti pubblici che consenta, eventualmente, di raggiungere in tempi relativamente brevi un aeroporto o una stazione.

In presenza di queste risorse, la decisione di lavorare in smart working a centinaia di chilometri di distanza dall’ufficio dipende esclusivamente dall’accordo fra il lavoratore e l’azienda.


L'accordo individuale può prevedere Smart Working e South Working

“Secondo me non ci sono vincoli normativi che lo impediscano”, commenta l’avvocato Eleonora Cangemi, partner e Head of International Desk di WI Legal. “Il lavoro da remoto è regolamentato da anni, quindi basta implementare questa tipologia e tutti i sistemi di sicurezza previsti dalla normativa. Certo, dipende anche dalla tipologia di azienda e dal tipo di lavoro, ma in generale non vedo un problema normativo. Potrebbero semmai esserci difficoltà di organizzazione nel momento in cui si richiede la presenza in sede della persona”.

Come molti dei fenomeni avviati con la pandemia, anche il South Working dovrà essere messo alla prova dal “New Normal”, ovvero la nuova situazione in cui ci siamo trovati al termine dell’emergenza sanitaria. Tuttavia, non è per niente è impossibile che entri a pieno titolo a farne parte.

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